La Legge di Stabilità 2022, contrariamente alle attese di molti, non ha portato all’adeguamento strutturale (e quindi definitivo) della soglia di esenzione fiscale e previdenziale dei fringe benefit (Art. 15, c. 3 TUIR) e di fatto ha riportato l’asticella all’originario (e antico) valore pari a €. 258,23 (frutto della conversione delle originarie 500.000 lire previste dalla norma fiscale del 1986: praticamente un’era geologica fa).
Le attese avevano un fondamento. Era infatti accaduto che, durante il 2020 e poi per tutto il 2021, sulla spinta delle criticità portate dalla pandemia, quella soglia fosse stata raddoppiata a €. 516,46 benché nel quadro di un adeguamento emergenziale e come tale temporaneo. I molti sforzi messi in campo per arrivare ad un definitivo adeguamento della soglia di esenzione fissata per i benefit “marginali” (beni e servizi di modico valore, spesso concessi sotto forma di buoni spesa e gift card) sono risultati vani.
È un bene o un male? Dipende, come sempre, da quale prospettiva ci si pone.
Da più parti si dice che si tratta di un’occasione mancata. Non v’è dubbio infatti che i fringe benefit siano uno strumento facile da utilizzare per le aziende ed i lavoratori. In particolare, quando assumono la veste di voucher (cartacei o digitali), lo strumento consente alle imprese – specie le più piccole – di introdurre una misura (spesso inziale) di Welfare Aziendale cui, nel tempo, possono seguirne altro facendo così maturare programmi più strutturati. C’è poi un aspetto più generale e non secondario: l’elevazione della soglia di esenzione fiscale e contributiva avrebbe potuto rappresentare un’opportunità per l’economia del Paese. Gli importi destinati al Welfare Aziendale integrano la retribuzione ma, al contrario di quest’ultima, non possono “andare a risparmio” e dunque generano un incremento della domanda di beni e servizi immediatamente percepibile dalla supply chain del Welfare Aziendale. Ciò, come si comprende, con evidenti utilità per l’Erario.
Uno studio recente, curato da The European House-Ambrosetti, aveva stimato che il raddoppio del valore dei fringe benefit esenti da tassazione avrebbe permesso di generare consumi aggiuntivi all’interno di una forbice posta tra 1,6 Mld€ e 4,1 Mld€ l’anno, con quel che ne sarebbe conseguito sul piano, ad esempio, del gettito IVA (che lo studio stimava tra i 346 M€ e i 547 M€ l’anno). Il tutto a fronte di una “inezia”: la Ragioneria dello Stato quantificò a suo tempo in 12 M€ annui la perdita derivante dal mancato gettito fiscale associato all’incremento dei fringe).
Ciò detto non può negarsi che questi strumenti siano espressione di una componente del Welfare Aziendale che meno ha a che fare con le finalità sociali cui invece queste prassi devono puntare. I fringe benefit comunemente diventano buoni benzina o buoni spesa digitali per acquisti su Amazon, Zalando ed altre piattaforme di e-commerce. È piuttosto raro che siano destinati a finalità connesse alle esigenze di istruzione dei figli o di carattere sanitario, tanto per fare due esempi.
Certo, con un importo più alto essi avrebbero potuto essere destinati anche al sostegno di spese socialmente più rilevanti e significative sul piano welfaristico, ma resta tuttavia il fatto che la tipologia delle soluzioni adottate dalle imprese per riconoscere questo benefit spingano verso acquisti di carattere più voluttuario. In sostanza – ed è l’altra prospettiva con la quale guardare al tema – non è alzando la soglia di deducibilità di questa “voce” del budget individuale di Welfare Aziendale che lavoratori e imprese avrebbero avuto a disposizione un incentivo più robusto per investire maggiormente nel Welfare Aziendale propriamente inteso. Perché questo avvenga occorre che vi sia una cultura della relazione con i lavoratori che li consideri anzitutto come persone portatrici di necessità individuali e familiari, capace – su questa base – di attivare processi di emersione dei bisogni e di costruzione delle relative risposte che tradotte in un set di servizi possa poi comporre il menu delle soluzioni offerte dall’impresa ai suoi collaboratori.
Un percorso complesso, di tipo co-progettuale (da condividere con aziende, lavoratori e OO.SS. ove presenti), per la cui efficace realizzazione i più strutturati Provider di servizi di supporto al Welfare Aziendale, come Welfare4You, sono professionalmente preparati potendo mettere in campo esperienze e saperi in grado di accompagnare le imprese lungo l’intera fase di costruzione del piano degli interventi: dall’analisi socio-demografica della popolazione aziendale, alle survey di rilevazione dei bisogni, sino all’assistenza per la redazione di contratti di secondo livello o di regolamenti ed infine mettendo a disposizione soluzioni tecnologiche avanzate come le piattaforme web per l’accesso e la rendicontazione dei servizi prescelti dai lavoratori.
Il mancato “raddoppio” della soglia di esenzione dei fringe benefit spingerà le imprese a concentrare l’attenzione su interventi di Welfare Aziendale meno “à la carte”, forse anche meno glamour, ma certamente ben più significativi sul piano delle policy di people care delle quali, proprio ed anche in conseguenza della pandemia, c’è urgente bisogno nelle imprese per ricostruire il clima giusto per la migliore ripartenza e rinforzare la relazione con i propri team.
Paolo Barbieri Giovanni Scansani
CEO Welfare4You Srl Business Advisor Welfare4You Srl