Le trasformazioni del lavoro e della relazione tra impresa e lavoratori sono sempre più incentrate sulla necessità di contrattare innovazione organizzativa finalizzata agli incrementi delle performance. Ciò anche al fine di dare crescente rilievo al valore apportato da tutti (e da ciascuno) nell’organizzazione complessiva dei cicli produttivi, valorizzando le soggettività, le competenze e le capacità.
Queste trasformazioni, per potersi tradurre in efficaci pratiche d’innovazione nei luoghi di lavoro e poter accrescere la competitività aziendale richiedono gradi crescenti di partecipazione attiva da parte dei lavoratori e dosi non meno rilevanti di attenzione, da parte delle imprese, al rapporto esistente tra vita e lavoro, tra “bene-essere” e “bene-avere” dei propri collaboratori.
Sono questi i campi d’azione, ma anche alcuni degli effetti, delle pratiche di Welfare Aziendale (WA) e di partecipazione diretta dei lavoratori all’organizzazione del lavoro.
Due sfide culturali (la prima sostanzialmente già vinta, la seconda ancora da vincere) che hanno come denominatore comune il sostegno di alcuni interessi dei lavoratori (e dei datori di lavoro più avveduti) che si pongono in stretta sinergia rispetto alle evoluzioni che, sul piano organizzativo, le imprese stesse sono interessate a realizzare. Si tratta, in sostanza, di rilanciare il valore del capitale umano senza il quale non c’è crescita, né reale sviluppo (tanto sul piano economico che sociale) e costruire condizioni di lavoro realmente inclusive e che, anche grazie a tale qualità, possano sostenere le trasformazioni in atto orientandole verso una maggiore produttività complessiva.
Il lavoro è uno strumento di realizzazione personale che plasma i caratteri e forma il nostro modo di relazionarci con gli altri e con la realtà cui apparteniamo; il lavoro è uno dei “luoghi” principali della fioritura dell’umano e se l’umano è oggi sempre più al centro della riorganizzazione del lavoro (proprio ed anche quale una delle conseguenze della cd. “Quarta Rivoluzione Industriale”), non si vede come il crescente coinvolgimento attivo dei lavoratori, ossia appunto la partecipazione diretta, possa restare ancora a lungo oggetto di un eterno dibattitto senza diventare una prassi maggiormente diffusa.
Relazioni Industriali, WA e partecipazione: un dialogo aperto.
Che si vada nella direzione di una più diffusa adozione di pratiche partecipative lo dimostrano alcuni passaggi della storia recente delle Relazioni Industriali.
Nel mese di giugno del 2017 un documento programmatico di Federmeccanica – la “Carta delle Relazioni Industriali” – ha tracciato le linee per una “via italiana alla partecipazione” sulla premessa che “le imprese e il lavoro devono trovare nuove formule di collaborazione per creare valore condiviso” la cui generazione passa necessariamente dal collegamento tra salari e produttività, così come dal WA, dalla formazione ed appunto dalla partecipazione, atteso che attraverso queste pratiche “le parti sociali assumono la responsabilità di promuovere una nuova cultura con la Persona al centro su tutti i fronti”.
A livello interconfederale, il cd. “Patto per la Fabbrica” (9 marzo 2018) nella lista delle sue priorità include, tra le altre, il WA e la partecipazione che, rispettivamente (e si direbbe anche significativamente), aprono e chiudono la to do list fissata dalle Parti Sociali. È un documento importante perché, proprio sul tema della partecipazione dei lavoratori, contiene un passaggio quasi rivoluzionario (per il contesto italiano).
Nel “Patto”, dopo aver chiarito che “un sistema di relazioni industriali più efficace e partecipativo [è] necessario per (…) realizzare i processi di trasformazione e di digitalizzazione” e che “in questa prospettiva (…) la realizzazione di forme di partecipazione [è] un obiettivo comune da perseguire” e dopo aver, altresì, preso atto che “i cambiamenti economici, produttivi e tecnologici (…) determinano una diversa relazione tra impresa e lavoratori” e che “si vanno diffondendo modalità di partecipazione più efficaci (…) con particolare riferimento agli aspetti di natura organizzativa”, le Parti Sociali hanno espressamente considerato “un’opportunità la valorizzazione di forme di partecipazione nei processi di definizione degli indirizzi strategici dell’impresa».
In questo excursus degna di nota è anche la posizione ribadita da Federmeccanica nel documento programmatico intitolato “Impegno”, presentato nel mese di aprile del 2018: un decalogo che mira a sostenere quel cambio di paradigma culturale dal quale dovrà derivare l’affermazione di un nuovo Umanesimo d’impresa (nel caso di specie, un “umanesimo metalmeccanico”) del quale WA e partecipazione saranno due dei pilastri sui quali il settore si deve impegnare per dare solide basi all’intera costruzione.
“Impegno” per Federmeccanica significa riconoscere che “le grandi trasformazioni (…) nascono dal basso (…) attraverso il coinvolgimento (…) per condividere visioni”. Il che significa “portare in azienda la partecipazione, la collaborazione, l’inclusione” perché, nel post-fordismo, l’impresa «deve farsi comunità non solo di interessi ma anche di valori» tenendo conto che nella fabbrica contemporanea «l’elemento caratterizzante è la cooperazione».
Siamo, dunque, in presenza di segnali (augurabilmente) forti di come WA e partecipazione dei lavoratori all’organizzazione del lavoro siano ormai considerati come punti fermi delle nuove Relazioni Industriali ed argomenti non più trascurabili dalla contrattazione.
WA e partecipazione organizzativa: complementarietà e finalità comuni.
Tra i tanti possibili ambiti che, nella visione contemporanea del lavoro, richiedono la partecipazione dei lavoratori c’è senz’altro quello creatosi con l’affermazione delle prassi di WA.
Entrambe, partecipazione e WA, si presentano come espressioni della vitalità organizzativa dell’impresa e rappresentano strumenti di voice dei lavoratori in grado di rafforzarsi vicendevolmente. Occorre ovviamente intendersi sul concetto di partecipazione cui ci si riferisce: quella organizzativa (diretta ed indiretta) e quella economica presentano senz’altro delle complementarità con il WA che è un elemento rilevante della prima ed è diventato una modalità di affermazione della seconda, come avviene attraverso le pratiche di “welfarizzazione” del Premio di Risultato (PdR).
Anche le finalità dei due istituti presentano alcune coincidenze posto che WA e partecipazione hanno, in definitiva, l’obiettivo comune di accrescere la produttività e la qualità del lavoro e dunque di coordinarsi con la complessiva business strategy dell’impresa.
Similari sono anche altri effetti che WA e partecipazione possono generare, incidendo positivamente sul clima aziendale, sulla reciprocità, sulla capacità dell’azienda di attivare maggiore attraction/retention dei collaboratori e nell’accrescere il loro livello di engagement.
WA e partecipazione contribuiscono, così, al rafforzamento del “contratto psicologico” che, sotteso a quello di lavoro, è sempre necessario arricchire costantemente per porre le persone nelle condizioni di esprimere pienamente le proprie capacità attivando le risposte necessarie per un lavoro più produttivo ed un’esistenza più piena.
Più in particolare, quanto al WA nella sua versione più vera e completa – ossia quella che deriva da programmi frutto di precise strategie di people management di medio-lungo periodo, sostenute da specifici investimenti aziendali (cd. WA “on top”) e non da “conversioni” di componenti variabili delle retribuzioni – il momento partecipativo è rappresentato, anzitutto, dal coinvolgimento delle persone nell’indicazione dei bisogni sui quali, poi, l’azienda sarà chiamata a dare risposte nei termini che saranno espressi dal Piano di Welfare Aziendale (PWA).
Si tratta di un momento essenziale per la calibratura degli interventi che si realizza mediante “sistemi di ascolto” che altro non sono se non momenti di partecipazione (sia dei lavoratori come anche dei loro rappresentanti, ove presenti in azienda).
Analogamente può dirsi per le fasi successive alla progettazione del PWA, ossia quelle della sua implementazione, dei suoi periodici fine tuning e della sua gestione che, nei casi più evoluti, sono guidate da un sistema di governance che, oltre alle funzioni HR dell’azienda (ed anche altre: marketing, finanza, IT), prevede il coinvolgimento dei lavoratori o del sindacato sino ad arrivare all’istituzione di appositi comitati bilaterali aziendali.
Questa è la “via alta” al Welfare Aziendale “partecipato” la cui alternativa (come “via bassa”) è quella degli interventi decisi “a tavolino” dai manager o direttamente (e più paternalisticamente) dall’imprenditore che, però, proprio per l’assenza di un coinvolgimento delle persone interessate all’espressione dei propri bisogni e nelle decisioni progettuali e gestionali degli interventi necessari, non può cogliere nel segno ed è destinato a non avere successo.
Il WA “partecipato”, inoltre, è capace di generare effetti di efficientamento dell’investimento aziendale in maniera del tutto similare al medesimo effetto che la partecipazione organizzativa (diretta ed indiretta) è in grado di produrre rispetto agli investimenti aziendali destinati alla tecnologia impiegata nella produzione. In entrambi i casi, infatti, la partecipazione alla definizione del disegno del WA, come la partecipazione al miglioramento dei prodotti e dei processi produttivi, diventa un fattore capace di accrescere il “ritorno di valore” dell’investimento.
Il WA e la partecipazione dei lavoratori sono capaci, quindi, di irrobustire tutte le componenti che conducono ad una maggiore produttività, ma senza incidere negativamente sulla qualità del lavoro ed anzi migliorandola: il WA sul piano della conciliazione con le esigenze della vita privata e del sostegno, anche economico, rispetto a finalità di rilievo sociale che riguardano il lavoratore e/o la sua famiglia; la partecipazione organizzativa sul piano della fioritura delle soggettività e dell’alleviamento delle condizioni di lavoro per il tramite dei miglioramenti complessivi dei processi produttivi che l’apporto partecipativo dei lavoratori è in grado di attivare e di perfezionare.
Per una cultura meno conflittuale nelle relazioni di lavoro
Se il WA è (anche) benessere individuale e collettivo non può non dirsi di un’altra sua “assonanza” con la partecipazione. È il tema del clima aziendale che non può prescindere del coinvolgimento dei lavoratori rispetto ai valori e ai fini che l’impresa s’è data.
Presupposto perché regni un clima favorevole alla generazione di benessere è l’assenza (o la riduzione) del conflitto e non vi è dubbio che la diffusione del WA, anche per il tramite del rafforzamento della contrattazione di secondo livello, sia una delle più evidenti manifestazioni sia del superamento di logiche unicamente conflittuali, sia del favore che i modelli partecipativi, incentrati sulla cooperazione tra le Parti Sociali, stanno progressivamente ottenendo.
Da qualcuno si sostiene che contrattazione e partecipazione siano in contrasto o siano difficilmente conciliabili. Tralasciando la considerazione che partecipazione non significa abdicazione rispetto al confronto (e neppure al conflitto, sia pure come extrema ratio), può essere interessante notare che dove c’è partecipazione c’è più facilità nella contrattazione e l’esempio del WA ci dice che dove c’è partecipazione è presente anche una contrattazione più capace d’individuare i bisogni reali dei lavoratori e quindi di creare presupposti per un maggiore benessere.
È possibile, allora, riconoscere un circuito virtuoso che quanto alla partecipazione – proseguendo nella sua “lettura” in parallelo con il WA – sembra richiamare le dinamiche che hanno sin qui segnato lo sviluppo di quest’ultimo che, nella fase iniziale della sua recente riscoperta (ossia ben prima che entrassero in vigore le norme che da ultimo ne hanno favorito il rilancio e la diffusione), si è prodotto in buona parte seguendo alcune best practice : dalla riscoperta di atmosfere olivettiane, al confronto con Luxottica, passando per le ormai numerose PMI che sul tema sono non meno all’avanguardia ed i cui PWA sono ormai oggetto anche di una serie di eventi e di riconoscimenti che testimoniano della diffusione delle buone pratiche.
Così anche la partecipazione organizzativa può contare su numerosi esempi virtuosi ed anch’essa, al pari del WA, può contare su una sua storia ricca di casistiche e di evoluzioni. Questo sostrato rappresenta un utile benchmark a disposizione di manager e imprenditori (come anche dei sindacalisti) cui poter fare riferimento per tracciare percorsi di reale e fattivo coinvolgimento dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro e dell’attività aziendale.
Le prassi di WA e le modalità con le quali si realizza la partecipazione diretta sono, entrambe, espressioni d’innovazione organizzativa e posto che non c’è innovazione se non c’è il pieno dispiegamento delle possibilità dell’umano occorre allora, anzitutto, liberare queste ultime per poterle realmente sviluppare (in senso letterale: eliminando i viluppi, anche culturali, nei quali sono ancora spesso imbrigliate).
Solo così, sostenendo un nuovo “Umanesimo del Lavoro”, potrà essere raggiunto uno stadio pienamente “4.0” dell’evoluzione dell’impresa nella quale, del resto, gli stessi nuovi metodi di produzione presuppongono dosi crescenti di benessere organizzativo e di partecipazione attiva dei lavoratori. Solo facendone una realtà nella quale tutti realmente contano e s’identificano, l’impresa potrà dirsi inclusiva, orientata al welfare e pienamente partecipata.